La scienza e la filosofia occidentali hanno da sempre considerato l’individuo pensante come isolato e non inserito in una comunità.
Gli scienziati così come i fisici non sono certo riconosciuti in generale come modelli particolarmente socievoli ed empatici.
Dalla storia recente arriva però una tragica testimonianza di quanto questa teoria sia poco fondata. Per rispondere alla diffusione delle malattie infettive e a causa dell’elevato numero di decessi negli orfanotrofi, i medici cercarono di proteggere i bambini separandoli e ordinando di ridurre al minimo i contatti fisici.
I bambini tuttavia continuavano a morire ad un ritmo allarmante.
La percentuale di sopravvivenza non migliorò fino a quando non ci si rese conto che il contatto era necessario, che i bambini non solo dovevano essere curati medicalmente ma anche affettivamente.
I bambini sopravvivevano se venivano presi in braccio, cullati e venivano messi in condizioni da interagire. Le persone e i neuroni soffrono e muoiono senza interazioni stimolanti.
Nei neuroni questo processo viene chiamato apoptosi, negli esseri umani viene chiamato depressione, angoscia e suicidio.
Per comprendere il cervello, dobbiamo conoscere il cervello sano che vive immerso in una comunità di altri cervelli: le relazioni sono il nostro habitat naturale.
Bibliografia
John Bowlby “La teoria dell’attaccamento”
Louis Cozolino “Il cervello sociale”